Omelia del Vescovo di Cefalù
S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante
Apertura dell'Anno pastorale 2020-2021
Basilica Cattedrale
Cefalù, 03 ottobre 2020
Carissimi fratelli e sorelle,
vi accolgo e saluto con grande gioia!
Saluto anche le Autorità civili e militari presenti e i diversi rappresentanti delle Confraternite della Diocesi.
Ci ritroviamo oggi insieme per inaugurare e affidare il nuovo anno pastorale al Cristo Pantocratore.
Riflettiamo ora sul brano evangelico che abbiamo poc’anzi ascoltato.
Nel Mediterraneo la coltivazione della vigna risulta tra le attività più importanti. I profeti avevano intravisto nel legame tra il vignaiolo e la sua vigna una narrazione dell’amore tra Dio e il suo Popolo. In tale contesto culturale, in cui alla vigna è associato il richiamo all’amore, è nato il cantico e il salmo che ci sono stati proposti dalla liturgia odierna.
I frutti che il Signore si attendeva erano la fedeltà all’alleanza, la giustizia sociale, l’aiuto al povero, all’orfano, alla vedova.
Ma che cos’ha trovato? Grida di gente oppressa e sfruttata, menzogne nei tribunali, odio, versamento di sangue, una religione fatta di processioni, pellegrinaggi al tempio, riti cui non corrispondeva la conversione del cuore.
Richiamando il cantico della vigna del profeta Isaia, anche Gesù ricorre all’immagine della vigna per descrivere l’opera di Dio e la risposta dell’uomo; la scena però è alquanto diversa.
Cambiano i personaggi: in primo piano non ci sono più Dio e la vigna che dà uva acerba e immangiabile, ma ci sono un “Signore della casa”, Dio, e i vignaiuoli affittuari a cui è stato affidato il bene più prezioso, identificati con gli uomini più coltivati quali i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, ai quali è diretta in particolar modo la parabola (Mt 21,23).
La vigna non è infeconda, pare non dia frutti o perché i vignaioli non l’hanno curata come ha fatto il proprietario della vigna o perché non vengono consegnati al legittimo proprietario in quanto i fiduciari si sono fatti padroni della vigna.
Infine anche la conclusione è diversa: non ci sono l’abbandono, la devastazione della vigna, ma un nuovo inizio, un intervento di salvezza, una sostituzione degli operai inetti.
È chiaro a tutti gli ascoltatori che il padrone della vigna è il Signore, è Lui il proprietario del terreno che ha trasformato in un fertile colle.
Lui l’ha creata; prima dissodando il terreno e sgomberandolo dai sassi, poi piantando uno ad uno i vitigni pregiati trapiantati dall’Egitto, l’ha protetta con una siepe e una cinta muraria, per difenderla da predoni e dai cinghiali del bosco e dalle bestie della campagna; l’ha dotata di un tino per pigiare l’uva e di una torre per la guardia e come deposito.
Richiamo ora i cinque verbi dell’“attenzione e della cura” del padrone della vigna, per trarne cinque attività per ben curare il nuovo impianto pastorale dedicato alla sinodalità e che vedrà il suo frutto nella celebrazione del Sinodo diocesano.
A tal proposito, vi rivelo che questo Sinodo diocesano cade dopo ben trecento anni: l'ultimo infatti è stato celebrato nel 1706 dal mio predecessore Mons. Matteo Muscella, un francescano originario di Santo Stefano di Camastra. Vi comunico anche che l'indizione ufficiale del Sinodo si terrà nei primi vespri della I domenica di Avvento, sabato 28 novembre 2020, in questa Basilica Cattedrale alle ore 17.00.
Soffermiamoci allora sui verbi che ho poc'anzi accennato:
1. Piantare.
"Piantò una vigna".
Innanzitutto sottolineo la consapevolezza che ognuno di noi è membro del Popolo di Dio, fa parte della vigna del Signore della casa; siamo come tralci della vite in grado di dare frutto a condizione di rimanere nella vite, di rimanere insieme uniti a Cristo vera vite.
Nello stesso tempo siamo fiduciari del Signore, umili operai nella vigna del Signore - come ebbe a dire Papa Benedetto XVI nel giorno della sua elezione - per la cura della stessa vigna e per la raccolta dei frutti da consegnare al vero e unico Signore della vigna.
Occorre innanzitutto creare un legame sinodale tra le generazioni di cristiani, che hanno dato inizio alla plantatio Ecclesiae Cephalocensis e che oggi si traduce nella raccolta dei frutti della trasmissione della stessa fede.
Dice l’Apostolo Paolo:
Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere (1Cor 3, 6-7).
Il Signore, dunque, ci chiede perizia nel raccogliere il patrimonio religioso e culturale di questa Chiesa, valorizzare la sua storia e le sue tradizioni. Ma nello stesso tempo audacia nel reimpiantare la fede nel cuore delle nuove generazioni.
Lo Spirito Santo protagonista di ogni evangelizzazione ci guidi nel compiere con discernimento ogni passo sinodale per portare questa Chiesa in uscita per una nuova seminagione della Parola del Vangelo.
2. Circondare.
"La circondò con una siepe".
Come per dire abbracciare il popolo che abita o arriva nel nostro territorio con la siepe della misericordia come l’abbraccio del Padre.
Circondare di attenzione e di impegno i nostri giovani che ogni giorno sono costretti ad abbandonare le nostre terre per cercare altrove prospettive di futuro.
È necessario uno sforzo congiunto di tutte le forze sociali, politiche ed economiche per costruire un vero "Laboratorio della Speranza".
Invito tutte le comunità parrocchiali a dare sfogo alla fantasia sociale, mettendo a disposizione risorse culturali e umane per creare, insieme alle istituzioni civili, possibilità di lavoro per i nostri giovani.
A Castelbuono, in occasione dell’inaugurazione della "Casa del Mandorlo" per l’accoglienza dei nostri fratelli migranti, dicevo che occorre uno sforzo corale, meglio sinodale, per proteggere il nostro popolo da una colonizzazione ideologica che passa attraverso il solco della spettacolarizzazione di ideali rovesciati, di valori che tali non possono assolutamente considerarsi perché scritti seguendo le cattive regole della grammatica dell’egoismo che sfocia nell’odio.
La pagina del Vangelo presenta un risvolto drammatico di questo odio, espresso da tre verbi violenti: bastonarono, lapidarono, uccisero.
Assistiamo a una colonizzazione ideologica dai tratti sibillini, appare e scompare in base ai picchi di audience in ogni fascia di età, un suo share anche nell’area cattolica. Il suo più alto indice di gradimento pare si riscontri nel mondo dei social, il suo “canale” di approdo più congeniale.
Riesce a “sbarcare” più facilmente e più celermente nei porti dei cuori e delle menti dei nostri fratelli più fragili, più deboli perché in modo malsano sono stati educati ad avere paura della paura, anche di quella partorita dalla menzogna. Assistiamo spesso alla devastazione di quel sentimento sano ed evangelico sedimentato nel cuore del nostro popolo meridionale che dà forma alla pietà, alla misericordia, all’accoglienza e all’ospitalità.
3. Scavare.
"Vi scavò un torchio".
Con il termine torchio (lènos) probabilmente è da intendere un mezzo per la vinificazione che il verbo «scavò» farebbe pensare collocato al di sotto del piano di campagna, vale a dire la vasca per pigiare l’uva.
Il Signore della casa fornì il latifondo di un luogo dove mettere insieme il frutto della vite e del lavoro dell’uomo che poi avrebbe rallegrato le mense del popolo. Nell’iconografia cristiana, il torchio è stato assunto a simbolo del sacrificio eucaristico come lo vediamo nelle raffigurazioni del cosiddetto torchio mistico. Gesù, posto nel tino dell’uva, è schiacciato da una pressa a mo’ di croce. Il sangue, come vino, cola in un recipiente sottostante.
L’altare per celebrare la sinassi eucaristica è il luogo dove prende forma il Popolo di Dio: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?» (1Cor 10,16).
Commentando il salmo 55, Agostino sottolinea che i discepoli sono sinodali nel cammino della croce di Cristo:
Il primo grappolo d'uva schiacciato nel torchio è Cristo. Quando tale grappolo venne spremuto nella passione, ne è scaturito quel vino il cui calice inebriante quanto è eccellente! […] Se pensi d'essere esente da tribolazioni, non hai ancora cominciato ad essere cristiano. Dove metti le parole dell’Apostolo: Tutti coloro che vogliono piamente vivere in Cristo, soffriranno persecuzioni?
Se dunque non soffri alcuna persecuzione per Cristo, guarda se per caso non abbia tu ancora cominciato a vivere piamente in Cristo. Ma, dal momento in cui avrai cominciato a vivere piamente in Cristo, da allora sei come entrato nel torchio.
Preparati ad essere schiacciato, se non vuoi essere arido, se non vuoi che niente scaturisca da te [1].
4. Costruire.
"Vi costruì una torre".
Nella costruzione la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo.
La prima lettera di Pietro riprende l’immagine della pietra scartata e così la commenta:
Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo (1Pt 2,4-5).
La relazione tra Gesù e i credenti, tra Cristo e la Sua comunità di pietre vive è immaginata come una grande costruzione spirituale. Cristo è la pietra viva, la roccia sicura, che bisogna scegliere: anche se è rigettata dagli uomini, rimane preziosa davanti a Dio.
Su Gesù "pietra/roccia viva", anche noi come “pietre vive” dobbiamo lasciarci edificare (da Dio), come “casa spirituale”.
La Chiesa sinodale è come il mosaico della nostra Cattedrale, il volto di Cristo si mostra solo se le pietre sono diverse e collocate al posto giusto e restano unite.
Nelle nostre comunità, nelle parrocchie, nel rapporto tra di esse, deve emergere in modo chiaro che la ragione della nostra speranza è il Signore Gesù!
Vi sono persone, senza differenze tra preti e laici, che sembrano dire con i loro giudizi, i loro gesti, i loro mezzi, che il centro è il proprio io, la realizzazione di sé, e che sequestra le attività come un piccolo regno in cui primeggiare, lamentandosi poi di essere lasciati soli.
In secondo luogo, la metafora edilizia ci parla della costruzione. Come Cristo è scelto da Dio quale pietra angolare, così anche noi siamo scelti, eletti.
L’elezione del credente non significa una selezione, un privilegio contro gli altri.
L’unico privilegio che il cristiano conosce è quello del servizio e della missione a favore degli ultimi.
La scelta di Dio dice che nessuno è padrone, ma siamo tutti servi (Lc 17,10): dal Vescovo all'ultimo battezzato.
Siamo chiamati, scelti e, come la pietra, siamo vagliati, sgrossati, sagomati e scalpellati per essere incastrati e compaginati al fine di costruire un edificio spirituale.
La sinodalità non è “star bene insieme”, ma soprattutto un “camminare insieme verso il bene” e “facendo insieme il bene” dove nessuno si lamenta del suo compito e tutti partecipano all’unica passione della costruzione del tempio.
Nessuna pietra pensa di essere un tassello inutile, perché non svetta sulle torri del Duomo: anche i gradini d'ingresso sono importanti per introdurre al centro del tempio santo. Ogni “pietra viva” ha il suo posto.
L’architettura del tempio narra la vita della Chiesa che raccoglie gli uomini e le donne in comunione e li fa uscire in missione.
Comunità convocata per essere inviata, non gruppo di prescelti o perché hanno affinità elettive, ma assemblea di coloro che hanno sperimentato la misericordia per trasmettere agli altri tenerezza e carità.
5. Affidare.
"La diede in affitto".
Carissimi fratelli e sorelle,
siamo fiduciari e non padroni dell vigna!
L’infedeltà e la possessività avvelenano le relazioni.
Dio ha affidato ai fiduciari il bene più prezioso, il suo Popolo e questi se ne impossessarono.
Dio non si perde d’animo, non si vendica come consigliano i capi del popolo, destinatari della parabola: «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?» (Mt 21,40).
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo» (Mt 21,41).
Dio seguirà soltanto il secondo consiglio: non procurerà la morte, ma toglierà l’eredità del regno e consegnerà la fiducia a un altro popolo: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,43).
Infedeltà e possessività sono presenti anche tra noi, cristiani di oggi: l’infedeltà consiste nel tradimento del Vangelo, a volte, in nome della vera religione e la possessività consiste nel farci padroni della fede del Popolo di Dio.
E allora, carissimi, presentiamoci oggi al Signore in umiltà, confessando le nostre infedeltà e dichiarando la nostra piena disponibilità a servire il Signore che ci ha chiamato nella Sua vigna.
A tutti l'augurio di buon lavoro nella vigna del Signore!
[1] Agostino, Esposizione sui Salmi, 55, 3-4.